La storia di Gaia

Autore: Raffaella

New York è la città che non dorme mai. La Tin è il reparto che non dorme mai. Per tre mesi le luci notturne della grande mela sono state per me quelle del reparto di terapia intensiva del Lenox Hill Hospital. Vivevo negli Stati Uniti.

Sono entrata per la rottura anticipata delle membrane (PPROM) quando la piccola aveva 24 settimane di età gestazionale, non sapevo nemmeno cosa volesse dire, ma la faccia seria delle infermiere che avevo di fronte e la fretta con cui hanno chiamato il dottore di turno quella notte mi ha fatto capire che stavo andando in sala parto. Nelle ore seguenti, non so come ma l’allarme è rientrato e così sono andata avanti giorno dopo giorno, tra contrazioni continue e qualche viaggio in sala parto, a sperare di tenere duro ancora un po’ fino a che la piccola non fosse stata più pronta. La neonatologa passava ogni lunedì mattina per aggiornarmi sulle condizioni della piccola e soprattutto sui suoi progressi.

Le prime 48 ore sono state le più importanti, hanno permesso ai dottori di somministrarmi il celestone (due iniezioni a distanza di 24 ore che stimolano lo sviluppo dei polmoni) e di stabilizzare la situazione. Se si passano quelle prime ore si può sperare di aggiungere qualche giorno in più. Mi avevano spiegato da subito che ogni giorno conta, persino ogni ora, che niente è meglio dello sviluppo nell’ambiente materno anche se le condizioni non sono ottimali. La mia piccola aveva solo 3cc di liquido amniotico, doveva farselo bastare.

Ma a 27 settimane e 3 giorni ha deciso che era ora di farsi conoscere. E’ nata dopo un paio di ore di travaglio e un tentativo di parto naturale, con taglio cesareo per non rischiare di crearle dei problemi. Pesava 915gr e mi hanno detto che aveva gli occhi aperti quando è uscita dalla sala parto. Da quel giorno la sua lotta per la vita è stata scandita da belle e brutte notizie, giorni buoni e giorni difficili. Ora so che è normale che succeda così, ma vivendolo per la prima volta credevo che una bella notizia fosse ambasciatrice di superamento di tutte le difficoltà e mi sentivo ottimista, poi invece arrivava una doccia fredda che mi gettava nel pessimismo e mi riempiva di dubbi e allontanava le speranze. Lei invece ce la stava mettendo tutta e non stava mai ferma. “The Italian Hurricane”.

Le brutte giornate ho imparato ad interpretarle come un po’ di stanchezza, una specie di riposo conseguente alla fatica che aveva fatto magari il giorno prima nel raggiungimento di traguardi più o meno difficili. Ha avuto complicazioni, ma ha superato tutto ora dopo ora e giorno dopo giorno, ha perfino imparato a mangiare direttamente al seno. Le portavo il latte in ospedale e quello che avanzava lo conservavo perché prima o poi ero certa che le sarebbe servito. Ci è voluto un po’. Il tempo e la pazienza erano grandi alleati in questa lotta, non bisognava avere fretta o chiedere troppo subito, era lei che doveva farcela con i suoi tempi  e il reparto di Terapia Intensiva Neonatale (TIN) era il miglior posto al mondo dove potesse essere.

Alla fine ha superato tutto.

Una Risposta a “La storia di Gaia”

  1. Gaia scrive:

    Che emozione leggere queste righe. Ogni cuore di mamma non può che commuoversi e immedesimarsi nel leggerle, anche se magari non ha vissuto la tua stessa esperienza. Nessuno poi ci assicura che in una eventuale futura gravidanza, non possa capitarci. Ma tu sei ambasciatrice di speranza e ottimismo, soprattutto per chi, come me, ha la fortuna di conoscere Gaia e Giulia da vicino e di constatare quanto belle, sane, intelligenti e simpatiche siano. Non me ne voglia Gaia, ma la paffutella e simpatica Giulia occupa un posto speciale nel cuore mio e del mio piccolo Achille: i suoi abbracci mattutini all’asilo quando arriviamo sono la carica irrinunciabile di ogni giornata. In bocca al lupo a voi tutte!

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